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LA CATENA INTERROTTA I lati oscuri delle tendenze sessuali latenti
Autore: Guido Giacovazzi
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PREFAZIONE
Può un uomo mutare radicalmente il suo comportamento e trasformare la sua ragione d’essere, a causa della vita che conduce?
Può un uomo aspirare alla ricchezza e al potere, adottando metodi contrari a qualsiasi principio etico? Usando cioè il ricatto per ricavarne benefici personali, a scapito di chiunque possa offrire il fianco a tale forma di estorsione?
Può infine un uomo pensare di usare il proprio corpo per tali fini, incurante delle conseguenze che la sua psiche potrebbe subire?
Il lettore si porrà molte domande addentrandosi nella lettura di questo racconto e si chiederà se esista al mondo l’amore pulito, puro e appassionato, oppure se l’istinto bestiale dell’uomo avrà sempre il sopravvento su ogni sentimento.
Rispondo che l’amore vero esiste: nasce, cresce e si sviluppa fra due persone, sia esse appartengano al sesso forte, sia viceversa. Esseri umani che si concedono l’uno all’altro, in una perfetta fusione di sentimenti, indifferentemente che siano due uomini o due donne ad amarsi; coppie eterogenee o omogenee che siano, ma unite da forti e radicati sentimenti reciproci.
Una falsa intransigenza moralistica condanna l’unione tra uomini o tra donne. Dico che nessuno può atteggiarsi a giudice perché ciascuno di noi deve essere libero di decidere ciò che vuole dalla vita. Il contrario fa parte di un’altra cultura.
Il discorso cambia però totalmente se ci s’imbatte in pedofili, esseri indegni di appartenere alla nostra società, ai quali deve andare, assieme al nostro più profondo disprezzo, una solenne condanna.
PARTE PRIMA-FRANCESCO
CAPITOLO 1
Francesco lavorava con furia la terra, quasi volesse sfogare su di essa la rabbia che aveva in corpo; quell’agosto del 1900, pensava, non gli aveva portato bene. Figlio unico di una famiglia contadina che sbarcava il lunario lavorando duramente la terra nella campagna napoletana, era un giovane aitante e robusto che sopportava a mala pena la vita dura del bracciante alla quale era, suo malgrado, obbligato a sottostare. E a questo, come se non bastasse, veniva ad aggiungersi il problema creatosi con Concetta. «No, no, sono troppo giovane» bofonchiava Francesco «devo trovare un’altra soluzione e presto; non voglio seguire la sorte di quel miserabile di mio padre».
Aveva ventuno anni quando conobbe Concetta, la ragazzina sedicenne figlia anch’essa di contadini, che viveva a poca distanza dalla sua casa. Dopo i primi goffi approcci, tipici dell’età, l’aveva posseduta una sera attirandola nel vicino fienile; lei non si era opposta e da allora gli amplessi si susseguirono più volte. Trascorsi pochi mesi lei gli disse che era in attesa di un figlio e che bisognava parlarne con le rispettive famiglie. Francesco aveva chiesto alcuni giorni per riflettere sul da farsi, ma aveva nel frattempo maturato l’idea di scappare: dileguarsi, sparire, abbandonare quella vita di stenti e sacrifici prima di essere costretto a sposarsi, seppellendo per sempre i suoi sogni di poter un giorno avere un destino diverso.
Frequentando il porto aveva trovato il modo d’imbarcarsi clandestinamente su una nave mercantile diretta in Brasile, grazie alla complicità di alcuni marinai, i quali però vendettero a caro prezzo il loro silenzio, costringendolo a sottostare alle loro voglie per tutta la traversata; gli portavano del cibo nel piccolo spazio della stiva nascosto da occhi indiscreti e là, a turno, sfogavano su di lui la loro libidine. Il giovane aveva tentato all’inizio di opporsi a quel mercato ma, posto di fronte all’alternativa di essere denunciato al comandante ed essere consegnato alle autorità consolari italiane del primo porto in cui avessero fatto scalo, aveva preferito cedere alle condizioni impostegli.
Francesco dovette così sottostare agli amplessi di quegli uomini; col passare dei giorni si rese conto che aveva iniziato ad aspettare con ansia chi inizialmente aveva considerato i suoi aguzzini, non solo per il cibo che gli portavano ma perché si era venuto a creare in lui un senso di doloroso piacere quando era penetrato, soprattutto quando a farlo, era José, lo statuario marinaio negro dalle maniere gentili e dal sorriso bonario. Sentiva in lui un senso d’umanità che mancava agli altri e gli si concedeva sempre più volentieri, contorcendosi e dimenandosi per fargli godere al massimo il momento dell’orgasmo. Una notte, a una sosta della nave, José informò Francesco che si trovava in Brasile, più precisamente nel porto di Salvador, capitale dello Stato conosciuto come Bahia de Todos os Santos. Erano partiti da Napoli circa venti giorni prima.
- Partiremo domani mattina; questo è l’ultimo scalo prima della fine del nostro viaggio che ha come destinazione finale Rio de Janeiro.
- Quanti giorni ancora, José?
- Quattro o cinque; una settimana al massimo.
- Che ore sono José?
- Mezzanotte passata; salperemo alle prime ore dell’alba.
- Buona notte Francesco.
- Buona notte José.
Francesco attese una trentina di minuti prima di muoversi senza fare il minimo rumore: aveva deciso di abbandonare subito la nave poiché si trovava ormai in territorio brasiliano. Sollevato con precauzione il portello della stiva che i marinai lasciavano sempre socchiuso onde assicurargli l’ossigeno necessario, sbirciò sul ponte accertandosi che fosse deserto. Nel buio più profondo il cuore gli batteva all’impazzata e dovette imporsi molta calma per riuscire nell’impresa. Strisciando sul ponte, silenzioso come un gatto, arrivò in breve alla scaletta: era abbassata e lo invitava a non esitare! In un battere d’occhi si trovò a terra e cominciò a correre verso alcuni capannoni illuminati, distanti poche centinaia di metri. Era in salvo ma si domandava con angoscia cosa avrebbe trovato in quella terra sconosciuta; aveva imparato alcune parole di portoghese dai marinai; gli sarebbero bastate?
Stentò non poco ad assopirsi ma alla fine la sua giovane tempra cedette alla tensione accumulata e cadde in un sonno profondo.
Il sole era già alto quando alcune voci lo svegliarono di soprassalto: doveva andarsene al più presto, uscire dal porto, allontanarsi allo scopo d’evitare che qualcuno lo fermasse per fargli delle domande. Certamente il suo aspetto non era dei migliori: pantaloni e camicia laceri e sporchi, lui stesso ricoperto di sporcizia accumulata nei giorni della traversata che non gli aveva risparmiato polvere e caldo nel piccolo e opprimente spazio ricavato nella stiva. Un misero fagotto con qualche straccio e il cibo della sera prima rappresentavano il suo unico bagaglio.
Sgattaiolando fra le casse e i sacchi accatastati nel deposito, si diresse verso l’uscita mantenendosi, per quanto possibile, al coperto. Quando la raggiunse, si rese conto che la nave sulla quale aveva viaggiato non era più nel porto: salpata all’alba come gli aveva detto José. Aguzzando la vista vide numerosi uomini, macilenti e malvestiti come lui, che entravano a frotte da una grande cancellata e si dirigevano verso un largo spiazzo, mettendosi ordinatamente in fila. Un uomo corpulento e autoritario li scrutava, uno per uno, al fine di decidere se farli proseguire o rimandarli indietro. Francesco capì che si trattava di facchini in cerca di lavoro, selezionati dall’uomo che, implacabile nel suo giudizio, decideva della loro sorte per quel giorno. Mentre i prescelti erano fatti procedere verso il molo, quelli scartati compivano un breve semicerchio e tornavano lentamente verso il cancello d’uscita. Camminavano a testa china, rassegnati per non aver potuto ottenere lavoro e bisbigliando improperi contro la loro sorte. La processione di quei poveri reietti passava a pochi passi dal deposito, dove si era nascosto Francesco. Gli si presentava una ghiotta occasione: sarebbe bastato aggregarsi al gruppo mescolandosi fra quei miserabili. Infatti, nessuno fece caso al giovane quando questi usci con gli altri dall’entrata principale del porto.
Una volta fuori Francesco decise di seguire un gruppetto di uomini di cui aveva ascoltato una breve conversazione, svoltasi naturalmente in lingua portoghese:
- Non ci resta che sperare in Dona Regina.
- Dicono però che chi è andato con lei non ha più fatto ritorno.
- Quando si ha fame si rischia tutto!